Arnaldo La Barbera e l’Agenda Rossa di Paolo Borsellino

Vicolo Pipitone - Palermo

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Palermo, Italia – 18 luglio 2025 – Il nome di Arnaldo La Barbera, ex capo della Squadra Mobile di Palermo e figura chiave nelle indagini sulle stragi del 1992, torna al centro di inquietanti rivelazioni che gettano nuove ombre sulla sua figura e riaccendono i riflettori su uno dei periodi più bui della storia italiana: le stragi di Capaci e via D’Amelio. Dalle testimonianze di collaboratori di giustizia alle recenti indagini sulla scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, il passato di La Barbera viene nuovamente scandagliato, sollevando interrogativi scomodi.
Accuse di Collusione Mafiosa e Rapporti con i Servizi Segreti
Le prime pesanti accuse risalgono al febbraio 2019, quando il pentito Vito Galatolo ha dichiarato davanti ai giudici di Caltanissetta che La Barbera fosse un uomo corrotto e di fiducia del mandamento di Resuttana. Galatolo ha sostenuto di averlo visto in vicolo Pipitone, in un edificio noto per ospitare riunioni tra boss mafiosi del calibro di Totò Riina e Bernardo Provenzano. In quello stesso luogo, secondo il pentito, sarebbero stati visti entrare anche Bruno Contrada e Giovanni Aiello, alimentando l’ipotesi di legami tra ambienti deviati dello Stato e la criminalità organizzata.
A rafforzare il quadro, nel 2014, l’ex boss di Altofonte, Francesco Di Carlo, ha rilasciato una testimonianza shockante al processo sulla trattativa Stato-mafia. Di Carlo ha raccontato che nel 1988, mentre era detenuto in un carcere inglese, tre agenti dei servizi segreti gli avrebbero chiesto aiuto a Cosa Nostra per bloccare le indagini di Giovanni Falcone. Tra questi agenti, Di Carlo avrebbe riconosciuto proprio Arnaldo La Barbera, all’epoca capo della Squadra Mobile di Palermo.
Il Mistero dell’Agenda Rossa: Indagate Moglie e Figlia
Le indagini più recenti si concentrano sulla sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, il prezioso taccuino del magistrato scomparso subito dopo la strage di via D’Amelio. Nel novembre 2023, la Procura di Caltanissetta ha iscritto nel registro degli indagati la moglie di La Barbera, Angiola (residente a Verona), e la figlia Serena (residente a Roma), con l’accusa di ricettazione aggravata dal favoreggiamento alla mafia.
Secondo le dichiarazioni di un amico di famiglia agli inquirenti, le donne sarebbero in possesso dell’agenda. Tuttavia, le perquisizioni effettuate nelle abitazioni di Angiola e Serena La Barbera – quest’ultima funzionaria della presidenza del Consiglio che si occupa di sicurezza nazionale – e di altri parenti, non hanno portato al ritrovamento del prezioso oggetto. È stata invece sequestrata un’agenda elettronica Casio “Digital Diary Sf 4300B” (modello del 1994), trovata nella cantina della casa veronese. Questo ritrovamento, seppur non l’agenda rossa, aggiunge un tassello al complesso mosaico delle indagini.
Una Carriera Costellata di Successi e Sospetti
La carriera di Arnaldo La Barbera in Polizia, iniziata nel 1972 dopo una laurea in giurisprudenza conseguita rapidamente, è stata caratterizzata da un’ascesa rapida e da indagini di alto profilo. Capo della Squadra Mobile di Venezia dalla fine degli anni Settanta, si è occupato anche di antiterrorismo, e in quel periodo (1986-1987) risulta essere stato un collaboratore del SISDE, il servizio segreto civile, con il nome in codice “Rutilius”. A Venezia, ha coordinato indagini importanti, come quella per la cattura del serial killer Roberto Succo.
Nell’agosto del 1988, fu promosso capo della Squadra Mobile di Palermo, dove ottenne importanti successi, tra cui l’arresto del pentito Totuccio Contorno. Tuttavia, subito dopo la strage di Capaci, il 23 maggio 1992, gli venne consegnata la borsa di Giovanni Falcone, una ventiquattrore in pelle della quale non si ebbe più notizia.
Nel gennaio 1993, La Barbera fu nominato dirigente generale di PS e trasferito alla Direzione centrale della polizia criminale. Pochi mesi dopo, tornò a Palermo per guidare il “gruppo d’indagine Falcone-Borsellino” della Polizia di Stato, creato per gestire le prime indagini sulle stragi del 1992. Nel 1994, divenne questore del capoluogo siciliano, coordinando indagini che portarono all’arresto di pericolosi latitanti come Giovanni Brusca e Pietro Aglieri.
Un altro aspetto controverso della sua carriera riguarda la gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino nel 1993, le cui dichiarazioni, che portarono ai processi sulla strage di via D’Amelio, furono completamente smentite diciassette anni dopo da Gaspare Spatuzza nel processo Borsellino quater. Nella sentenza di primo grado di quest’ultimo processo, i giudici hanno evidenziato significative anomalie nel processo di collaborazione di Scarantino.
Le recenti rivelazioni e le indagini in corso riaprono una pagina dolorosa della storia italiana, chiedendo chiarezza su figure e accadimenti che ancora oggi attendono piena verità e giustizia.

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