Donne, stragi & servizi segreti

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Troppi inconfessabili legami con apparati deviati dello stato?

Dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, ultimo dei padrini della colonna stragista dei corleonesi, riaffiorano oggi come non mai, le terribili ipotesi di un legame indissolubile tra Mafia, eversione nera e apparati deviati dello Stato.

Il primo a parlare del legame tra l’eversione golpista e Cosa Nostra fu Don Masino , al secolo Tommaso Buscetta. Sbarcato dalle Americhe, Buscetta giunse in Italia con il preciso scopo di vendicare la morte dei suoi due figli, uccisi per mano di Pippo Calò, capo del Mandamento di Porta Nuova, e per smantellare la colonna stragista di Salvatore Riina che mieteva centinaia vittime tra i picciotti palermitani.

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Buscetta fu il primo a spalancare al giudice Giovanni Falcone le porte di Cosa Nostra, spiegando che durante uno dei suoi viaggi tra gli Stati Uniti e l’Italia, fece tappa intermedia in Svizzera per sentire cosa offriva a Cosa Nostra il principe nero Junio Valerio Borghese, nell’eventualità che la mafia avesse partecipato al proposito golpista organizzato per la fine degli anni Settanta. A confermare le parole del collaboratore Buscetta ci furono anche quelle di Antonino Calderone, uomo d’onore della famiglia di Catania: – “Mentre Liggio si nascondeva a Catania ricevette la visita di due capi di Cosa Nostra, Salvatore Greco “chicchiteddu” e Tommaso Buscetta che dovevano discutere con lui di una questione di notevole importanza: la partecipazione della mafia al cosiddetto Golpe Borghese del 1970″. – Il progetto, di occupazione dei vertici dello Stato ideato da Borghese sarebbe dovuto scattare la notte dell’8 dicembre 1970 con la parola d’ordine “Tora Tora”. Per motivi mai chiariti veramente, il golpe fu bloccato all’ultimo momento. Tramite i collaboratori di giustizia sappiamo che Cosa Nostra decise di non prendere parte al progetto. Il tentativo eversivo di Junio Valerio Borghese si inserisce nel quadro della strategia della tensione e della stagione stragista vissuta in Italia dal 1969 al 1974. Questo intervento mira a dimostrare come la minaccia di un rovesciamento dello Stato fosse reale e come Cosa Nostra ne fosse solo “apparentemente” poco interessata.

Ma andiamo per ordine, cercando di dipanare il groviglio di serpi nel cesto della Strage di Capaci e di Via D’Amelio:

Quel 23 maggio 1992 quando esplose l’autostrada di Capaci c’era anche una donna che faceva parte del commando stragista o vi erano solo uomini di Cosa Nostra? Nuovi testimoni parlerebbero invece di presenze estranee alle Cosche.

Tracce genetiche riconducibili a una persona di sesso femminile sarebbero state trovate su alcuni reperti recuperati dalla polizia scientifica nei pressi del luogo dove avvenne la strage che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e a tre agenti della sua scorta.

Ad appena 63 metri dal cratere sull’autostrada di Capaci, gli investigatori avrebbero trovato un paio di guanti da chirurgo in lattice di gomma nei quali al suo interno è stata rilevata una traccia di DNA che conduce alla presenza di una donna.

Giovanni Brusca, però, durante il processo, ha raccontato la sua versione dei fatti e tutte le fasi di preparazione dell’attentato. Specificando le fasi relative al calcolo della velocità dell’auto di Giovanni Falcone con la sua scorta durante il tragitto che va dall’aeroporto al canale imbottito di tritolo. Calcolo della velocità indispensabile per l’accensione nei tempi giusti dei detonatori.

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Con la stessa determinazione, Brusca volle escludere il coinvolgimento di soggetti esterni a Cosa Nostra nelle varie fasi di studio e progettazione. Brusca però disse qualche cosa che lascia intuire uno scenario diverso da quello da lui raccontato ai giudici. Qualche cosa che metterebbe in discussione il fatto che possa essere stato lui o soltanto lui, a premere quel maledetto pulsante del telecomando.

“In base alle prove che abbiamo fatto, – Disse Giovanni Brusca – eravamo certi della riuscita dell’attentato. Non c’è stata nessuna sorpresa. Per tre settimane avevamo fatto appostamenti. Era tutto organizzato. Ganci e Cancemi dovevano osservare le auto partire dalla casa. Ferrante all’aeroporto ci avrebbe confermato l’arrivo di Falcone. Gioacchino La Barbera, in macchina, doveva darci la velocità del corteo. Avevamo lasciato un frigorifero per individuare il momento per dare l’impulso. Ci accorgemmo a vista d’occhio che il corteo era improvvisamente rallentato”. In base ai programmi iniziali a premere il pulsante in quel 23 maggio del 1992 sarebbe dovuto essere Pietro Rampulla. “Quel giorno ebbe un problema familiare. Mi chiese se era un problema ma gli dissi che poteva anche non venire. Io ero in grado di fare tutto”. – Poi aggiunse: – “Assieme ad Antonino Gioé ero appostato sulla montagna aspettando che passasse il corteo delle auto di scorta. Ad un certo punto Gioé, che aveva il binocolo, mi disse “Vai, vai vai”. Antonino me lo disse tre volte che potevo schiacciare il telecomando quando arrivò il corteo con il giudice Giovanni Falcone. Non so perché ma non schiacciai subito il telecomando. C’era qualcosa che mi diceva di non farlo”.

Pochi istanti dopo le parole “Vai, vai, vai” di Antonino Gioé, Giovanni Brusca o chi per lui, spinse il pulsante al momento giusto. Un’enorme esplosione, una voragine di polvere e fuoco illuminò in un attimo l’intera all’autostrada di Capaci.

Chi schiacciò veramente per primo il pulsante del telecomando al momento giusto? Fu davvero Giovanni Brusca al grido di “Vai, vai vai” di Gioè o la donna misteriosa dai “guanti chirurgici” ritrovati a 63 metri dal cratere dell’autostrada?

Donne sempre presenti nei rapporti con Cosa Nostra. Donne di cui non si conosce quasi niente e di cui si parla sempre molto poco. Delle Mata Hari dei servizi segreti deviati, o delle “candide” signorine estranee a qualunque cosa?

“Lo frequentavo, ma non sapevo chi fosse”. Queste sono le parole di una di loro presentatasi pochi giorni fa in una caserma dei carabinieri per raccontare la sua relazione con Matteo Messina Denaro. Chi fosse stato lo avrebbe capito solo il giorno che la foto di Messina Denaro è finita su tutti i giornali. Una versione che certamente non convince gli inquirenti e ancora meno il sottoscritto.

Allo stato la donna non risulta indagata ed è ancora troppo presto per dire quali fossero i rapporti legano il boss della mafia a questa “ingenua” signora. Certo è, che nel covo di vicolo San Vito a Campobello di Mazara, sono stati rinvenuti vari indumenti femminili e una parrucca e persino dei cosmetici. Segno evidente della presenza di altre donne in questo covo.

Donne tutte cadute “ingenuamente” nella trappola del bel maschio siculo, oppure organiche in una delle tante strutture segrete del nostro martoriato paese?

Staremo a vedere. (ndr).

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