Uccise il padre violento: l’Appello ribalta l’assoluzione
In appello, a Torino, Alex Pompa condannato a 6 anni e 2 mesi
Per di più le testimonianze, cioè gli Atti andranno in procura per verificare quanto hanno asserito la madre ed il fratello, testi che in primo grado erano stati ritenuti attendibili. La difesa ha affermato che è una: “Sentenza difficile da accettare”. Mentre il fratello di Alex ha detto che: “Va assolto per evitare casi come quello di Giulia”
Insomma: non fu legittima difesa, come aveva stabilito il tribunale di primo grado, ma omicidio volontario.
Così, con una sentenza che ribalta quella del processo di primo grado, i giudici della Corte di assise di appello di Torino rileggono il caso di Alex Pompa, il ventiduenne di Collegno (la località di Torino, famosa per il celeberrimo “Smemorato”) che nel 2020 uccise a coltellate il padre, nel corso dell’ennesima sfuriata contro la madre.
La pena, calcolata al netto delle attenuanti, è di 6 anni, due mesi e 20 giorni di carcere. Per la difesa, però, non è sufficiente: La richiesta era stata la conferma dell’assoluzione. L’avvocato Claudio Strata definisce “incomprensibile” soprattutto la parte in cui la Corte ha disposto la trasmissione degli atti in procura perché vengano valutate le testimonianze rese dalla mamma, Maria Cotoia, e dal fratello di Alex, Loris.
“Entrambi – osserva – furono interrogati la notte stessa del fatto. In primo grado erano stati considerati affidabili. Ora invece sono dei mentitori. È una cosa difficile da accettare. Vedremo le motivazioni”. “Alex non è un assassino, io rischiavo di essere uccisa”, il commento della madre Maria Cotoia.
Dai processi è emerso il clima da incubo in cui viveva la famiglia. Il padre, Giuseppe, è stato definito un uomo irascibile, prevaricatore, ossessivo; al contrario, Alex è conosciuto da amici e compagni di studi per il carattere mite, garbato e riflessivo. Maria, cassiera in un supermarket, ha raccontato che la sera del 30 Aprile 2020 la lite fu più violenta delle altre. Suo marito, che nel corso della giornata l’aveva contattata non meno di 101 volte sul telefonino solo perché credeva che al lavoro avesse salutato un collega con un sorriso, cominciò a gridare quando lei era ancora sul pianerottolo. Alex si intromise e trafisse il genitore con 34 fendenti, servendosi di 6 coltelli uno dopo l’altro. Per i giudici di primo grado agì per “legittima difesa” durante “una lotta ingaggiata per sopravvivere”.
Una ricostruzione che il pm Alessandro Aghemo non ha mai accettato e che la Corte d’appello ha capovolto del tutto: adesso Alex è colpevole di omicidio. Al calcolo della pena si è arrivati dopo avere interpellato la Corte Costituzionale: bisognava rimuovere l’ostacolo che impediva di dichiarare le tante attenuanti (qui sono state riconosciute il vizio parziale di mente al momento del fatto, la provocazione per accumulo, le attenuanti generiche) prevalenti rispetto all’aggravante del vincolo di parentela. La Consulta ha dato il via libera. Diversamente, come ha ricordato il pm, sarebbero stati 14 anni. Alex da quel giorno ha tentato di costruirsi una vita ed è andato avanti. Ha assunto il cognome della mamma, Cotoia, ha preso la maturità e lo scorso 8 Novembre si è laureato in Scienze della Comunicazione. Tutto questo lavorando come portiere di notte in un hotel per dare una mano in casa. Ora, per quanto non ancora definitiva, gli è piovuta addosso una condanna. A norma di legge è stato dichiarato “indegno di succedere al padre”. Inoltre dovrà risarcire suo zio, fratello della vittima, che si è costituito parte civile: la provvisionale è di 30 mila euro.
Daniele Vanni