40 anni fa: l’assassinio del portavalori Pucci di Borgo a Buggiano

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18 Gennaio 1984. Stiamo parlando di eventi accaduti in un mondo diverso. Come fossero avvenuti in un pianeta a noi estraneo, senza telefonini, senza social. Che credeva di aver passato le grandi epidemie medioevali, quelle che falcidiavano le popolazioni. Si parlava di rivalutare la lira per mille! E invece ci attendeva l’infausto euro.

Di “lirette” che ci avevano permesso un tenore di vita oggi inimmaginabili, Gianluca Pucci, giovane portavalori di Borgo a Buggiano, in quel di Montecatini (fino al 1926, provincia di Lucca) nella valigetta ne aveva per ben 150 milioni. In gioielli. Era il tempo in cui anche le tv locali, facevano vendite stratosferiche e avevano decine e decine di giovani incaricati poi di portare a destinazione i gioielli acquistati. E magari trasportavano anche merce in proprio. Per arrotondare. Per proporre al cliente un extra. Molti di questi giovani subivano “regolarmente” qualche assalto.

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Certo non trasportavano una cifra così imponente come Pucci. Una cifra che pochi lustri prima veniva data come premio massimo della lotteria di Capodanno.

E così l’ingordigia umana fece il resto e fu attirato in una trappola da persone che conosceva.

All’iniziò, gli investigatori, – anche i sentimenti erano diversi in quell’epoca così prossima e così lontana! – pensarono che potesse trattarsi di una fuga volontaria. Ma Gianluca Pucci era un ragazzo troppo serio, profondamente legato alla famiglia e alla fidanzata (e presto avrebbe dovuto sposarsi) per essere protagonista di un colpo di testa.

Quindi, le indagini imboccarono la pista giusta e piano piano cominciò ad emergere una verità molto più cruda.

Una notte, nella caserma dei carabinieri furono interrogati alcuni sospettati ed uno del gruppo crollò fino a raccontare tutta la storia. Quella che nella mente malata dei criminali si prospetta per loro spesso come un colpo perfetto. E invece era macchiato di giovane sangue. Gianluca era stato ucciso, semplicemente: “perché era la cosa più semplice” il giorno stesso della sua sparizione. Sotterrato come un cane, – allora si poteva dire: oggi c’è un’altra sensibilità e si fanno tombe anche per i nostri animali da affezione! Che spesso, come ha ben sottolineato Papa Francesco, valgono per noi più di un familiare! – in una buca nel terreno sulle colline di Marliana, sopra Serravale Pistoiese. Nel giardino di una villetta.

Derubato, ucciso a colpi di pistola e sotterrato. Come può fare con la coscienza, chi non ce l’ha. Gianluca aveva, nel 18984, 22 anni. Oggi sarebbe un anziano (ma guai a dirlo ad una persona di poco più di 60 anni che, allora, “vecchio” lo era, ma oggi si considera un giovane da palestra e crociere!)

Pochi mesi fa, è venuto a mancare, nel dolore e nel timore di incontrare per strada gli assassini di suo figlio, ormai liberi da decenni e con una loro vita, anche Piero, il babbo di Gianluca.

Morto nell’amarezza che ha sempre attanagliato anche mamma Carla, prima per il dolore incolmabile ed eterno, per la scomparsa di un figlio. E poi la delusione per la conversione delle pene da ergastolo, a pochi anni di carcere per i suoi assassini: i gioiellieri Franco Scatizzi e Andrea Nistri, condannati all’ergastolo, poi ridotto a 30 anni nel ‘95.

Danilo Nannini, il “pentito” del greuppo, dopo un periodo di libertà vigilata, scontò, appena, 11 anni di pena.

Pochi anni a Giovanni Esposito, che ricettò l’oro, pur sapendolo macchiato del sangue di Gianluca. Mentre Danilo Borsi, scappato in Francia, lasciò 2 lettere in cui si diceva estraneo all’omicidio prima di essere trovato impiccato in un carcere vicino Parigi.

A volte, la coscienza fa strani ritorni.

Gianluca era un giovane portavalori. Tra poco, ammesso che sopravvivano anche i gioiellieri, ci penseranno i droni ed Amazon o Wish o Temu a consegnare anche i preziosi che forse cambieranno forma e valore anch’essi! Serissimo, fidanzato, pensava al matrimonio. Anche questo passato assai di moda in 40 anni. I genitori dicevano sempre che lui stava molto attento a non frequentare luoghi isolati. E segnava tutto su un taccuino. Perché allora si scriveva! Anche le macchine che a luipareva lo seguissero. E perciò sospette.

Ma cadde nella trappola, come accadeva nelle favole, da persone che sembravano per bene e che conosceva e che idearono un piano assurdo per derubarlo dei 150 milioni di preziosi di cui lui faceva il rappresentante. Tanto acuti da inscenare addirittura la fuga di Gianluca, magari con un’amante – spesso proiettiamo il nostro male sugli altri, perché così sembra più facile vivere, – portando la sua auto all’aeroporto di Pisa e dandole fuoco.

Invece lo aveva ucciso, come un cane, con 4 colpi di pistola alle spalle e si erano liberati del giovane corpo, seppellendolo in una buca profonda un metro e mezzo di una villetta in collina.

Un suo cliente gioielliere di Prato, alla vigilia della scomparsa lo aveva chiamato per dirgli che aveva vinto al Totocalcio (e forse allora le vincite non erano tassate come oggi) e voleva investire una bella somma in preziosi. Puntuale la mattina dopo Gianluca si presentò a quel tragico appuntamento. Per sviare le indagini la banda di assassini fece ritrovare l’auto del Pucci nel parcheggio dell’aeroporto di Pisa e appiccò il fuoco al veicolo per far perdere le tracce.

Il pubblico ministero al processo che fece tanto scalpore, – allora la cronaca nera e totalmente diversa da quella di oggi, abituata, apparentemente, a tutto, – fu Canessa lo stesso che interrogò Pacciani sulle sue abitudini sessuali, credendo che un sofisticatissimo Mostro di Firenze, capace di escissioni da chirurgo (mai provate!) facesse uso sessuale di cetrioli o carote, non ricordo!

I miei colleghi, questo sì lo ricordo, telefonavano alle redazioni con gettoni di rame che oggi si vendono ai mercatini perché c’è chi ne fa collezione.

Si doveva attendere due o tre anni perché venissero fuori i primi Motorola, i pesantissimi “mattoni” i brick phone, che avevano batterie da mezz’ora di autonomia e che in alcuni modelli oggi vale, per antiquariato, anche quarantamila euro quasi 75 milioni di allora: la metà del valore che aveva nella sua valigetta di lavoro il povero Gianluca quella mattina del 18 Gennaio 1984.

Non avevano memoria o quasi quei telefoni. Invece, come diceva De Gregori in questo Paese che non ha più cantautori: “La Memoria siamo noi!”.

Daniele Vanni

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