L’Agenzia Falco di Davide Cannella ottiene la riesumazione del corpo di Francesco Vinci

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Nella storia inquietante, infinita, e così incompleta, tanto da essere mancante della parola fine, del cosiddetto Mostro di Firenze, sta per essere scritta un’altra pagina.

Che potrebbe non essere secondaria.

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Chi non conosce e non solo tra i tantissimi appassionati di eventi criminosi che stanno aumentando tanto da essere diventati un fenomeno antropologico, il nome di Francesco Vinci? Non sono in pochi e non solo in Toscana, perché il suo nome e cognome sono strettamente legati a quello del Mostro di Firenze, rimasto, per molti versi inspiegabilmente, senza identità.

Infatti tra gli esperti non sono in pochi a pensare che non è mai avvenuto per nessuna serial killer e non è possibile che dopo otto duplici delitti non si sia trovata uno straccio di prova o una traccia.

Un sospiro di sollievo per Firenze e per l’opinione pubblica fu tirato quando nel 1982 tutti i giornali pubblicarono, con titoli a piena pagina, l’arresto proprio di Francesco Vinci indicato come l’autore della strage di coppiette che fece parlare negativamente di Firenze in tutto il mondo.

Ma il “mostro” tornò a colpire. Per ben due volte. E così il Vinci fu rimesso in libertà, espatriando subito e incomprensibilmente in Francia. Ma tornava in Italia, specie a trovare vecchi amici. E trovò una morte atroce, proprio insieme ad uno di questi amici, Angelo Vargiu, ambedue bruciati dentro l’auto del Vinci, che aveva subito, così rivelò l’autopsia, molte torture, addirittura amputazioni.

Perché fu ucciso e da chi? E cosa si voleva sapere se si era ricorsi a torture così efferate?

I loro corpi carbonizzati furono trovati nella frazione Garetto di Chianni vicino a Pontedera nel bagagliaio di una Volvo 240 di proprietà di Francesco Vinci il 7 Agosto del 1993.

Quella morte non ha mai convinto la moglie di Vinci, Vitalia Melis che lo aveva difeso sempre. In tutti i casi di furti o omicidio in cui era stato coinvolto. Anche dalle accuse riguardanti il “Mostro” attorno al quale, oltre gli otto duplici delitti, vi è sono tutta una serie impressionate e inspiegabile di altri omicidi.

Molti, alla macabra fine di Francesco, andarono con la mente alla vicenda di suo fratello Salvatore Vinci, anche lui indagato nel 1985 per gli omicidi del Mostro di Firenze ed anche lui, come Francesco, amante della prima vittima femminile della serie, Barbara Locci e che avrebbe fatto credere a tutti di essere deceduto per un male incurabile al fegato, ma che secondo il detective Davide Cannella, vivrebbe ancora sotto falso nome in un paesino della Spagna.


Proprio alla Agenzia Falco di Lucca, di Davide Cannella si è rivolta la moglie di Francesco Vinci, Vitalia Melis per fugare ogni dubbio e trovare pace nella sua vita non facile. Cannella che dirige la “Falco” assieme ai figli Matteo e Luca, ha chiesto ed ottenuto la riesumazione del corpo di Francesco Vinci per vederci chiaro. Anche sulle tante incongruenze presenti nella autopsia di 31 anni fa. A partire dal fatto che il Vinci quando da giovane viveva a Villacidro, ebbe un diverbio con un coetaneo che gli sparò con una pistola al petto. Ma non fu possibile estrarla e per tutta la vita dovette portarla nel suo torace, ma incredibilmente non fu trovata nell’esame necroscopico.

A giorno si saprà la verità. Almeno una. Dalla estrazione e comparazione del DNA si potrà fugare ogni dubbio almeno sulla fine di Francesco Vinci.

Ma da queste risposte ne verranno molte altre, proprio sul cosiddetto Mostro di Firenze.

Francesco Vinci e le vicende del Mostro di Firenze

Solo dopo anni, per caso fortuito (o, alcuni sostengono, per una lettera anonima, anche questo non si è mai chiarito), al secondo duplice delitto del “mostro” che verrà poi derubricato a terzo, si giunse a capire, con enorme lentezza, scoperto che a sparare e uccidere per la terza volta una coppia di amanti appartati, era stata la stessa pistola 22 Beretta Calibro 22 Long Rifle Serie 70 (forse fra i 7 modelli prodotti, una Modello 71 a canna corta).

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Ma il tempo per arrivare a questa conclusione, è stato interminabile: nel 1974 il “mostro” ha colpito a Vicchio del Mugello, dove Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini appartati nella loro 127, vengono uccisi da una mano che si rivela subito maniacale. E ancora nel 1982, a Baccaiano, quando finalmente si scopre che la pistola che ha sparato con precisione e ucciso, è stata usata anche 14 anni prima, sul greto dell’Arno a Lastra a Signa, la notte di mercoledì 21 Agosto 1968, all’interno di una Alfa Romeo Giulietta bianca posteggiata presso una solitaria strada sterrata, vicino al cimitero di Signa, dove sono stati assassinati Antonio Lo Bianco, muratore originario di Palermo di 29 anni, sposato e padre di tre figli, e Barbara Locci, casalinga di 32 anni, originaria di Villasalto, in provincia di Cagliari, entrambi residenti a Lastra a Signa.

Per questo delitto, già anomalo per tantissimi versi, (addirittura il figlio della Locci, addormentato sul sedile posteriore, viene portato dal “mostro” in una casa vicina!) viene indagato e poi condannato, il marito Stefano Mele, personaggio dalle mille contraddizioni, anche lui immigrato dalla provincia di Oristano, bracciante e muratore, uomo elementare come i suoi studi, che accusa del delitto proprio Francesco Vinci!

E così, con la scoperta che l’assassino o gli assassini hanno sempre usato la stessa arma, si apre il filone della “pista sarda” e si fa una perquisizione a casa di Francesco Vinci, del quale si dice che abbia più di un collegamento con l’anonima sarda che è responsabile, allora, tra l’altro, di clamorosi sequestri: ma la perquisizione dà esito negativo. Oltretutto Vinci, forse per una soffiata, è uccel di bosco e la sua Renault 4 bianca, viene trovata occultata in provincia di Grosseto.

Ma il 15 Agosto 1982, Francesco Vinci è arrestato a casa di un compare a Firenzuola e tutti i giornali con titoli ingenuamente liberatori a nove colonne dichiarano che il mostro di Firenze è finalmente stato assicurato alla Giustizia.

Ma il mostro torna a colpire: nel Settembre 1983 a Giogoli, con un delitto anomalo, senza “ritualità” e per di più su due uomini, due amici tedeschi: tanto che si dice e si scrive che qualcuno possa aver commesso ad arte il duplice omicidio, per discolpare chi è in carcere.

Fondata o no questa voce, si deve scarcerare Francesco Vinci, quando nel Luglio 1984, il mostro torna a colpire di nuovo e ancora nel Mugello, a Vicchio, alle sorgenti del Vingone, con l’uccisione di Claudio Stefanacci e Pia Rontini, a cui viene praticata l’escissione del pube.

Subito dopo la scarcerazione, il Vinci incontrò a cena il giornalista Mario Spezi cui, stando a quanto riportò lo stesso Spezi, confidò in tono quasi affettuoso: “Il mostro è uno che si sa muovere di notte, in campagna, e che ha sofferto tanto da bambino”.

Ma tornato libero, Francesco Vinci decise di lasciare l’Italia e fuggire in Francia dove visse per diversi anni.

Due giorni prima di Pasqua del 1990, il Vinci però tornó a trovare il suo amico Calamosca per proporgli alcuni affari; in quell’occasione il Calamosca, in casa del quale era stato arrestato, carcerato per sequestri, anche lui indagato nell’interminabile vicenda fiorentina e scontratosi con Pacciani in processo) notó che l’amico appariva provato, depresso, dedito all’alcool. Ad angustiarlo, sempre secondo il pastore imolese, era ancora la faccenda della pistola del Mostro, un segreto troppo ingombrante e pericoloso da portarsi dentro. Non tanto segreto se l’inaffidabile Calamosca ha dichiarato che Francesco Vinci gli aveva confesso che lui, assieme al Mele, erano gli autori del primo delitto, quello di Lastra a Signa.

Il 7 agosto 1993, il Vinci fu torturato, mutilato, ucciso e quindi bruciato insieme all’amico Angelo Vargiu. I loro corpi carbonizzati furono trovati nella frazione Garetto di Chianni vicino a Pontedera, nel bagagliaio di una Volvo 240 di proprietà di Francesco Vinci.

  • Daniele Vanni
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