Caso Resinovich, nuova svolta: l’impronta sul sacco non è di un guanto

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C’è una novità importante nel caso di Liliana Resinovich, la donna trovata senza vita ai margini del parco dell’ex ospedale psichiatrico di Trieste. Una novità che, pur non dando ancora risposte definitive, cambia, almeno in parte – la prospettiva con cui guardare ai fatti.

Fino a poco tempo fa si pensava che l’impronta visibile su uno dei sacchi neri che coprivano il corpo potesse essere stata lasciata da un guanto. Un dettaglio che avrebbe potuto indicare la presenza di qualcuno che, con attenzione, aveva maneggiato quei sacchi. Ma le analisi scientifiche hanno escluso questa ipotesi.

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A quanto pare, quella traccia non è stata lasciata da una mano guantata, bensì dalla trama dei jeans grigi che Liliana indossava. Gli esperti della Polizia Scientifica hanno ricreato le stesse condizioni – umidità, freddo, contatto prolungato – e hanno ottenuto impronte identiche. Le pieghe dei pantaloni, la posizione rannicchiata del corpo, il tempo trascorso tra il decesso e il ritrovamento: tutto ha contribuito a formare quella traccia.

Una scoperta che, per ora, allontana l’idea che qualcuno abbia sistemato il corpo con le mani coperte. Ma, naturalmente, non chiude il caso. Ci sono ancora tanti elementi da chiarire.

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Tra questi, resta in primo piano la posizione di Sebastiano Visintin, marito di Liliana e unico indagato. Le immagini registrate dalla videocamera montata sulla sua bici sembrano confermare gli orari e i movimenti da lui dichiarati nel giorno della scomparsa. Nulla, in quei video, contraddice la sua versione.

Eppure, sullo sfondo, rimane l’ipotesi che Liliana non si sia tolta la vita da sola. È la tesi sostenuta dal team di esperti incaricato dalla Procura, tra cui l’antropologa forense Cristina Cattaneo. Per loro si è trattato di omicidio, e non di suicidio.

Ma senza nuove prove concrete, l’indagine resta sospesa su un filo. La Procura, infatti, non ha richiesto alcuna misura cautelare, nemmeno l’obbligo di firma, nei confronti di Visintin. E i suoi avvocati temono che il loro assistito, anche in assenza di accuse formali, possa restare per sempre “etichettato” come l’unico sospettato.

È una storia che, purtroppo, non ha ancora trovato la sua verità. Ma ogni dettaglio, anche quello apparentemente tecnico di un’impronta su un sacco, può fare la differenza. E oggi quella differenza ci dice che nessun guanto ha lasciato quella traccia.

Di: Angelo Marotta

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