Mafia S.p.A.: Giovanni Brusca è un uomo libero, tra polemiche e memorie scomode

La Montagna dalla quale Brusca dice di aver premuto il telecomando a Capaci

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PALERMO – Si chiude un capitolo controverso della giustizia italiana: Giovanni Brusca, l’ex boss di San Giuseppe Jato, tristemente noto come il “boia di Cosa Nostra”, è tornato in libertà. Dopo aver scontato la sua lunga pena e aver fornito la sua, pur dibattuta, collaborazione con la giustizia, Brusca vive sotto scorta e falso nome, lontano dalla Sicilia, terra che ha insanguinato con la sua efferatezza.

La sua scarcerazione riapre ferite profonde e riaccende il dibattito sull’efficacia del sistema dei collaboratori di giustizia, soprattutto considerando il suo passato efferato. Brusca è stato tra i protagonisti della stagione delle stragi e dei delitti più sanguinosi, macchiandosi anche dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido dopo oltre due anni di prigionia. Un bambino che lui stesso aveva visto crescere nella casa di Santino Di Matteo, mafioso vicino ai Corleonesi.

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Una vita all’ombra della cupola
La storia criminale di Giovanni Brusca affonda le radici in una famiglia profondamente legata a Cosa Nostra. Figlio del boss Bernardo Brusca, e fratello di Emanuele ed Enzo Salvatore, tutti “uomini d’onore” della Famiglia di San Giuseppe Jato, Giovanni fin da giovanissimo, all’età di 13 anni, si adoperava per portare viveri e informazioni ai latitanti, tra cui suo padre Bernardo e Calogero Bagarella. Portava rifornimenti anche a Salvatore Riina quando quest’ultimo era sotto la protezione dei Brusca durante lo scontro con Stefano Bontate.

La sua iniziazione ufficiale in Cosa Nostra avviene nel 1976, all’età di 19 anni, per mano dello stesso Totò Riina, al quale aveva dimostrato una fedeltà assoluta negli anni. Una fedeltà che, come molti ipotizzano, potrebbe essere rimasta intatta nonostante la morte del “capo dei capi” a Parma nel 2017.

Dalle estorsioni alle stragi, una scia di sangue incalcolabile
La carriera criminale di Brusca, come da lui stesso raccontato, è iniziata con estorsioni, incendi di autovetture e distruzione di vigneti. Ma la sua “ascesa” è segnata da un numero incalcolabile di omicidi. Lo stesso Brusca ha dichiarato di non ricordare esattamente il numero e il nome delle persone che ha assassinato, un’affermazione che restituisce la misura della sua brutalità.

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Già nel 1987, Brusca aveva pianificato l’omicidio di Giovanni Falcone con armi da fuoco all’interno della piscina comunale di via Belgio a Palermo, dove il magistrato si recava abitualmente per nuotare. Un piano annullato all’ultimo minuto da quelle che Paolo Borsellino definì “menti raffinatissime”: individui coinvolti in complessi giochi di potere, capaci di orchestrare gli attentati mafiosi più efferati, inclusi quelli contro Falcone e lo stesso Borsellino.

Come da lui stesso raccontato, fu “allievo” di Leoluca Bagarella e poi di Nino Madonia, boss mafioso della famiglia di Resuttana. Madonia che avrebbe avuto contatti istituzionali per i quali avrebbe potuto “aggiustare alcuni processi”.

Quest’ultima dichiarazione deve far riflettere. “Contatti Istituzionali e processi aggiustati” è un lapsus di Brusca oppure Nino Madonia lo aveva messo al corrente dei suoi rapporti con pezzi deviati dello Stato? Questa domanda ci riporta inevitabilmente alla “trattativa Stato-Mafia”.

La Trattativa Stato-Mafia: un’ombra ancora lunga
La “trattativa Stato-mafia” è una complessa questione storica che riguarda i presunti contatti e trattative segrete tra esponenti delle istituzioni italiane e i vertici di Cosa Nostra, soprattutto durante le stragi del 1992-1993. La presunta esistenza di una trattativa, con l’obiettivo di porre fine alle stragi in cambio di concessioni alla mafia, è stata al centro di diverse indagini e controversie giudiziarie.

Un “lapsus” che ci conduce inesorabilmente a quella telefonata tra l’Onorevole Mancino e il Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Telefonata mai resa pubblica e fatta distruggere dallo stesso Presidente della Repubblica.

Giovanni Brusca, protagonista e testimone di un’epoca così oscura, non può non essere a conoscenza della “storiaccia” della trattativa. La sua libertà, dunque, non è solo la fine di una detenzione, ma anche l’inizio di un rinnovato confronto con le memorie scomode e le domande ancora aperte sulla storia recente del nostro Paese. Domande che forse non avranno mai delle vere risposte.

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