Il Relitto del “Nasuto”, Marciana Marina – Isola d’Elba. Storia di un naufragio

la torre di Marciana Marina

Tempo di lettura 13 minuti

L’esperto ci racconta

Torniamo a parlare dei misteri celati sul fondo del mare con il Dott. Daniele Venturini.

Il Dott. Ph.D. Daniele Venturini, Archeologo. E’ Dottore di Ricerca Internazionale – Università Politecnica di Valencia (ES) , presso la Facultad Bellie Artes in: ” Ciencia y Restauración del Patrimonio Histórico – Artístico” e ha maturato un Master in Didattica, Divulgazione e Nuovi Media nell’Antichità; con Perfezionamento in Tecniche della Comunicazione presso l’Università di Ferrara.

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Studio e valorizzazione museale

In questo articolo vi voglio parlare di un relitto, che ho studiato bene e sul quale, dodici anni fa, ho fatto uno studio di valorizzazione e gestione del sito archeologico, durato 5 anni (finito nel 2013), proponendo una musealizzazione virtuale della nave oneraria romana (dal lat. onerarius, der. di onus onĕris, peso, carico), risalente agli anni 3050 d.C., periodo in cui hanno regnato tre imperatori della dinastia giuli – claudi: Tiberio (27 – 37), Caligola, (37 – 41) e Claudio (41 – 54).

Le difficolrà del progetto

La presente ricerca è il risultato di un progetto congiunto dei Dottori Pilar Roig, Ignacio Bosch, cattedratici della Università Politecnica di Valencia in Spagna, e il mio, in un contesto per la diffusione e lo sviluppo di questo sito archeologico che si proponeva di rendere i resti sommersi accessibili agli utenti attraverso una musealizzazione “in situ”. Premetto che il lavoro di ricerca e valorizzazione del sito archeologico è rimasto sulla “carta”, per vari motivi, che vanno dalla mancanza di risorse finanziarie per la musealizzazione, alla complessità delle operazioni, essendo il relitto a una profondità di 63 metri, senza contare la burocrazia. La cosa più grave, si verificò nel pomeriggio del 17 ottobre 2011, un Vigile del Fuoco, di 45 anni, del
distaccamento di Piombino (LI), che si era immerso per effettuare operazioni di rilievo nel relitto, giunto a 17 metri di profondità, fu colto da malore e, riportato in superficie dai colleghi, spirò poco dopo. Questa tragica disgrazia, probabilmente ha messo la pietra tombale sul progetto.

Traffici e rotte commerciali di due millenni fa

I resti della nave oneraria, se tutto fosse andato a buon fine, avrebbero potuto essere visitati, attraverso le immagini trasmesse dal sito sommerso alla terraferma, in appositi luoghi dove i visitatori avrebbero potuto vedere comodamente il relitto e il suo carico. Sono state svolte indagini presso la Direzione Generale dei Beni Archeologici della Toscana (Firenze), nel Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano (Portoferraio) e nel Comune di Marciana Marina. Parallelamente sono state effettuate varie visite sia a terra, sul Promontorio di Nasuto, sia in mare, nella barca d’appoggio utilizzata da archeologi e tecnici della Soprintendenza per le immersioni nello Specchio di mare in cui, a circa 63 metri di profondità, si trova il relitto. La nave risale al primo periodo imperiale ed è ancora ben conservata con tutto il suo carico. Le enormi anfore erano di due tipi: un ovale più piccolo, con un diametro di Bocca 37 cm di altezza e 190 cm di altezza, più l’imboccatura globulare più grande del diametro di 52 cm che veniva caricata a bordo della nave per il trasporto di vino, olio e altri prodotti alimentari. Da due millenni i Dolia ( Il dolium in latino, è un contenitore di terracotta di forma sferica), hanno attirato l’attenzione di studiosi e archeologi.
Il trasporto delle merci via mare era preferibilmente eseguito nei mesi estivi, quando le navi onerarie preferivano fare le traversate in alto mare, certamente più dirette e veloci, mentre nei mesi da marzo al mese di giugno, riprendevano le già ridotte navigazioni seguendo le meno rischiose rotte di cabotaggio. In ogni caso si doveva senza dubbio tenere conto degli inevitabili pericoli e dei condizionamenti naturali dovuti ai venti, alle correnti, all’attraversamento degli stretti, al doppiaggio dei promontori. Le “compagnie di navigazione”, che coprivano con una certa regolarità itinerari prestabiliti, dovevano necessariamente disporre di rappresentanze commerciali nelle varie sedi. Nei mesi invernali i traffico commerciale marittimo si fermava. Molte di esse erano presenti a Roma e soprattutto ad Ostia, dove, nella piena età imperiale, si aprivano intorno al gran “piazzale delle corporazioni”, monumento unico nel suo genere che offre ancora oggi con i suoi mosaici una documentazione preziosa sull’organizzazione dei commerci marittimi nel mondo romano. Probabilmente la nave proveniva dalla penisola iberica. Durante la campagna di scavo del 2010, infatti, i sommozzatori hanno recuperato un bordo appartenente ad un’anfora del tipo Beltran Ib, prodotto nella zona di Cadice in Spagna, e destinato al trasporto della salsa di pesce (garum) .

La cronologia del carico e della nave

Il recupero è un’indicazione significativa per determinare l’origine del carico, ma non è sufficiente per determinarne l’esatta cronologia poiché, come è già noto, la produzione di questo tipo di anfora risale dall’inizio alla fine del I secolo d.C. Si ha l’impressione (che ovviamente va verificata alla luce delle evidenze nei dati) che il relitto risalga al 30-50 d.C., prossima alla data di un altro naufragio all’Isola d’Elba, quello di Chiessi, nel comune di Marciana, comunemente indicato al 70-80 d.C.. La visita ai musei e ai lavori di restauro è stata molto importante per rendersi conto delle difficoltà incontrate nel recupero di relitti alle minime profondità (vedi Chioggia – Venezia) o anche in terraferma come a Comacchio e Pisa. Per quanto riguarda Albenga, i problemi sorti furono dovuti alla scarsa conoscenza delle metodologie dell’archeologia subacquea, che nacque proprio in quegli anni con Nino Lamboglia, il “padre” dell’archeologia subacquea italiana. Questo lavoro era stato pensato e scritto con l’ambizione di diventare, in un prossimo futuro, la base di un vero e proprio progetto che poteva essere sviluppato insieme a tutti gli Enti interessati (Comune di Marciana Marina, Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, Soprintendenza del Beni Archeologici della Toscana con sede a Firenze, Provincia di Livorno e Regione Toscana), con l’obiettivo di realizzare un museo della nave mercantile romana.

anfora del tipo Beltran Ib

Cosa è il Garum?

 

Il garum è una salsa liquida di interiora di pesce, che i Romani usavano come condimento alle pietanze. Questa salsa liquida era molto gradita da tutti gli abitanti dell’Impero. Il garum veniva fatto con le interiora di pesci che venivano lasciati a macerare in apposite vasche con il sale. Plinio il Vecchio, in Naturalis Historia (XXXI, 93 sgg.), mette il garum fra le sostanze saline, come un liquor exquisitus ottenuto dalla macerazione di interiora di pesce: da qui nasce l’aneddoto che il garum sia “pesce marcio di materie in putrefazione”, perché se non si metteva abbastanza sale invece che una fermentazione si otteneva una puzzolente putrefazione. Plinio scrive anche che il garum migliore è il garum sociorum, fatto con gli sgombri e proveniente dalla Spagna, prodotto da una società tunisina di origine fenicia, che esportava soprattutto in Italia. Questa salsa, se di prima scelta, era molto costosa, come un profumo.

Gli obiettivi principali del progetto

Gli obiettivi principali del progetto erano due: la musealizzazione e la conservazione “in situ” dello scafo legnoso e del carico, oltre alla visione, da parte dell’utilizzatore, di tutto il relitto e della vita sottomarina che si sviluppa nel suo ambiente, attraverso l’utilizzo di schermi di grandi dimensioni, che ricevono le immagini trasmesse dalle telecamere ancorate al fondale. Gli schermi sarebbero stati posizionati sul Promontorio di Nasuto all’interno di idonee strutture leggere e mobili, realizzate in legno o materiale riciclabile. Queste strutture sarebbero state ovviamente completamente integrate nella macchia mediterranea, senza alterare minimamente l’habitat naturale del Parco Nazionale. In alternativa, come seconda ipotesi, gli schermi avrebbero potuto essere posizionati sulla torre di Marciana Marina, situata nella zona del porticciolo turistico, proprio di fronte alla punta del “Nasuto”. Nel primo capitolo del mio lavoro avevo parlato del Santuario dei Cetacei,che nasce il 22 marzo 1993, giorno in cui i rappresentanti dei Ministeri dell’Ambiente di Italia e Francia e il Ministro di Stato del Principato di Monaco hanno firmato un Dichiarazione sull’istituzione di un Santuario Internazionale dei Cetacei nel Mar Ligure.

In questa foto aerea di Marciana Marina, si possono vedere l'ubicazione dei resti della nave oneraria (colore azzurro),, edificio multimediale sopra il promontorio del Nasuto (colore giallo) e la torre di Maricana Marina, nell'area portuale (colore rosso). (Elaborazione di Daniele Venturini e Giacomo Venturini)

Parallelismo tra i Cetacei e il Naufragio della nave Oneraria

Considero interessante anche stabilire una sorta di “parallelismo” tra i cetacei (delfini e balene) e il naufragio del Nasuto, entrambi sono stati nello stesso ambiente marino per due millenni, la nave perché affondò all’inizio dell’impero con tutto il suo carico e i cetacei perché vivono in questo mare meraviglioso dove si trovano spesso nello specchio d’acqua in cui giace il relitto sul fondo del mare. Questa circostanza ha risvegliato la mia fantasia e ho pensato che potesse essere bello ed istruttivo mostrare, oltre alle immagini del naufragio, anche il passaggio dei delfini. Questo progetto doveva anche comprendere l’aspetto didattico, coinvolgendo sia le scuole che gli istituti, con l’obiettivo di avvicinare gli studenti all’archeologia, alla storia e alla natura, nell’ambito di un Arcipelago formato da sette isole che incorniciano uno dei paesaggi più incantevoli del Mediterraneo. Il sito archeologico in oggetto è collocato in una posizione privilegiata, perché si trova nello stupendo paesaggio naturale del Mare dell’Elba che, insieme al turismo di massa tipico del periodo estivo, avrebbe potuto stimolare il turismo culturale e indurre migliaia di persone a visitare il complesso archeologico / naturalistico oggetto della ricerca. Per le ragioni sopra esposte, i risultati che si potevano ottenere dal progetto avrebbero potuto essere molteplici, sia dal punto di vista scientifico, educativo e culturale, sia dal punto di vista, non meno importante, del turismo e dell’evoluzione economica del Comune di Marciana Marina, dell’Isola d’Elba e di tutto l’Arcipelago.

Leggi anche  La scoperta del relitto della nave romana di Albenga – Il primo scavo subacqueo in Italia

Santuario dei cetacei nel Mar Ligure. Dal sito www.santuariodeicetacei.com

Riflessioni

Quando ho iniziato questo lavoro di ricerca, stavo facendo il Dottorato presso l’Università Politecnica di Valencia, in Spagna, correva l’anno 2008. I miei direttori del lavoro di ricerca, erano due grandi professionisti e cattedratici spagnoli, Pilar Roig e Ignacio Bosch, marito e moglie. La prima Direttore del Dipartimento di Belle Arti e il secondo direttore
dei Master del Dipartimento di Architettura, persone meravigliose, con le quali è nata una grande amicizia, che continua da ormai 12 anni.
Ho passato molto tempo a Marciana Marina, per studiare il relitto del “Nasuto” e anche gli altri sette rinvenimenti subacquei, tutti relativi al periodo imperiale, che sono stati individuati in tutta l’Isola. Ho avuto modo di lavorare a stretto contatto con le Amministrazioni del Comune di Marciana Marina, del Parco dell’Arcipelago e con la Soprintendenza Archeologica, è stata una esperienza unica ed entusiasmante.
In tutto questo tempo ho avuto modo di farmi una idea, lavorando anche di fantasia, di come fosse avvenuto questo naufragio più di duemila anni fa.
Mi sono immaginato la nave oneraria, che probabilmente proveniva dalla penisola Iberica.

Ho collocato questo naufragio nel pomeriggio alle idi di marzo del 51 d.C. (15 marzo), secondo il calendario lunisolare giuliano (Giulio Cesare riformò il calendario appena divenne Pontefice Massimo. Eliminò il mese di mercedonio, portò la durata dell’anno a 365 giorni e introdusse l’anno bisestile: le riforme al calendario giuliano furono completate sotto il suo successore Augusto). Ho scelto questo giorno perchè ricorda la tragica morte del più grande Generale della storia, Gaio Giulio Cesare, nella famosa congiura delle idi di marzo del 44 a. C. Cesare, anche se non si può considerare un Imperatore, di fatto lo era: ottenne l’imperium, e fu nominato dittatore a vita il 14 febbraio del 44 a.C. Sicuramente la sua politica ha portato alla fine della Repubblica. Il suo pronipote Ottaviano, il futuro Augusto, fu il primo imperatore, con lui nacque la dinastia giuli – claudi. Dei tre imperatori succedutisi in questi 20 anni (30 – 50 d.C., Tiberio, Caligola e Claudio), mi ha sempre affascinato la figura dell’imperatore Claudio (lo definirei imperatore per caso).
Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico, è il quarto imperatore della dinastia dei giuli-claudi, nacque a Lungdunum, l’attuale Lione, il primo di agosto del 10 a.C. I suoi genitori, Druso maggiore e Antonia minore, gli avevano imposto alla nascita il nome Tiberio Claudio Druso. Era considerato dai suoi contemporanei come un candidato improbabile al ruolo di imperatore, soprattutto in considerazione di una qualche infermità fisica da cui era affetto, tanto che la sua famiglia lo tenne lontano dalla vita pubblica fino all’età di quarantasette anni, quando ottenne il consolato congiuntamente al nipote Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, il futuro imperatore Caligola, “piccola caligola” la calzatura dei legionari, affettuoso soprannome datogli in giovane età dai soldati del padre, il famoso Generale Germanico.

Cartina dell’Isola d’Elba con la localizzazione delle otto località dove sono stati rinvenuti sporadici reperti archeologici in mare, a cura di Daniele Venturini e Giacomo Venturini
Cartina raffigurante le rotte navali Romane, nel mar Mediterraneo a partire dal II secolo a.C. Valorizacion y Gestion de los sitios Arqueologicos sumergidos en el archipelagos Toscano. El caso del naufragio romano en la localidad “IL Nasuto” de Marciana Marina en la Isla de Elba. Univeridad Politecnica de Valencia,, 2014)

La partenza da Cadice, la rotta verso la Capitale dell’Impero e il naufragio

La nostra nave oneraria parte da Cadice la mattinia dell’ottavo giorno prima delle idi di marzo del 50 d.C. (8 di marzo), attraversa le Collonne d’Ercole e segue una rotta di cabotaggio senza dubbio tenendo conto degli inevitabili pericoli e dei condizionamenti naturali dovuti ai venti, alle correnti, all’attraversamento degli stretti e al doppiaggio dei promontori. Dopo vari giorni di navigazione, arriva in prossimità dell’Isola d’Elba. Sono le 19,00, fino a poche ore prima il tempo era buono, il mare era calmo e soffiava un vento leggero da sud, la temperatura era mite. Improvvisamente calava la temperatura e anche l’umidità, si alzava un forte vento di maestrale che faceva gonfiare le vele della nave, il Comandante intuiva l’arrivo di “perturbazioni.”
Dal suo posto di comando, nella piccola cabina in legno sita a poppa, che ospitava anche la cambusa, teneva sotto controllo la coperta, ampia e dotata di grandi boccaporti che consentivano un comodo accesso alla stiva, la prua e la poppa erano fortemente curvate verso l’alto. La nave era armata con un albero maestro centrale con vela quadra e uno minore a prua in posizione inclinata; dava immediatamente ordine al timoniere, che si trovava in posizione centrale, di fare rotta verso la costa elbana, che si trovava a poche miglia di distanza. Gli uomini di equipaggio, erano impegnati in manovre veloci e pericolose. Le onde si ingrossavano rapidamente, il vento aumentava di intensità, la pioggia cadeva forte, la visibilità era scarsa. Intendeva trovare riparo in una insenatura attendendo che la tempesta passasse. La nave aveva un carico di derrate alimentari sistemate nella stiva in grossi dolia e in anfore. Trasportava vino, olio, garum e spezie che devono essere recapitate al grande porto di Ostia. (Nel 42 d.C., per porre rimedio all’insabbiamento dello scalo fluviale di Ostia, proprio l’imperatore Claudio iniziò la costruzione di questo grande porto marittimo, collocato a nord della foce del Tevere. Il sistema portuale si articolava in un vasto bacino di circa 150 ettari, con due moli ricurvi e alcune banchine di attracco; il tutto era dominato da un grande faro a più piani, simile al celebre Faro di Alessandria. Il faro ostiense sorgeva probabilmente su un’isola artificiale che divideva l’accesso al porto in due bocche, la settentrionale e la meridionale. 
Il Capitano, si passava la mano sulla fronte, poi nei capelli, era preoccupato. Sentiva le grida dei marinai che erano obbligati a urlare per poter comunicare tra di loro, tanto era forte il vento che copriva le loro voci e schiaffeggiava il pelo dell’acqua. Decideva di andare in coperta vicino al timoniere, da qui poteva meglio guidare le operazioni. Il timoniere teneva diritta la barra, l’Isola era li davanti a loro. Meno di un miglio li separava da un “porto” sicuro. Il Capitano impartiva ordini, il tono delle voce era forte e sicuro, aveva passato tutta la vita in mare, aveva combattuto decine di tempeste, e ne era sempre uscito vincitore. Trasmetteva la sua sicurezza a tutto l’equipaggio, che eseguiva i suoi ordini, senza discutere, con disciplina e abnegazione. A poche centinaia di metri vi era il promontorio del “Nasuto”, e una insenatura dove poter mettere la nave al riparo e attendere la fine della tempesta. Tutto intorno era buio, si sentivano soltanto le urla dei marinai, il vento ululava come un branco di lupi affamati, che stavano attaccando la preda, le onde erano alte alcuni metri e si infrangevano contro lo scafo della nave. Un marinaio era stato investito da un’onda che lo aveva fatto precipitare contro il parapetto della nave. Un altro marinaio, con una mossa fulminea, riusciva a bloccare il commilitone, che stava per precipitare in mare. Il Comandante stava osservando questa scena, quando un’onda anomala si avvicina velocemente alla nave, un marinaio emette un grido di terrore, il Capitano faceva appena in tempo a impartire l’ordine all’equipaggio di mettersi al riparo, di stare saldi alla nave e cercare di non farsi trascinare via. Poi più nulla. La nave veniva capovolta e in pochi minuti affondava con tutto il suo carico di merci e uomini. Il buio era assoluto, la pioggia cadeva sempre più forte, il Comandante si trovava contro uno scoglio, le onde lo avevano trasportato verso il promontorio del Nasuto. Si aggrappava disperatamente allo scoglio, riusciva con la forza della disperazione ad arrampicarsi e a raggiungere la cima della scogliera. Era in salvo. Per qualche minuto rimaneva sdraiato sullo scoglio, sfinito per la fatica. Poi si alzava e guardando verso il cielo che era squarciato da lampi e tuoni, rivolgendosi a Nettuno dio del mare gli gridava: O Nettuno fratello di Giove, che è dio supremo e re di tutti gli dei, grazie per avermi salvato la vita, fa che ritrovi il mio equipaggio.
Si dirigeva verso una insenatura, gridando i nomi dei suoi marinai. Pochi minuti dopo il timoniere rispondeva, dopo di lui anche gli altri marinai si avvicinavano al Comandante, sì erano tutti salvati.
Ho voluto concludere questa storia di duemila anni fa, con un lieto fine; nessuno può sapere come realmente si sia verificato il naufragio e, se, l’equipaggio sia riuscito a salvarsi o siano tutti o in parte morti, ma visto che ho lavorato di fantasia, perchè non fare in modo che tutti si salvassero?


Daniele Venturini

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