La leucemia del falegname che bruciava dossier segreti nel bunker sotterraneo di Palazzo Chigi

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ROMA – Un verdetto destinato a fare giurisprudenza ha messo la parola fine a una battaglia legale durata dieci anni, culminata con la vittoria di un ex dipendente della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La sua leucemia cronica è stata ufficialmente riconosciuta come malattia professionale, causata dalle condizioni di lavoro “disumane” in cui l’uomo era costretto a operare.

Per anni, il falegname era incaricato di bruciare fascicoli e documenti riservati in un bunker sotterraneo ricavato da un’ex cisterna del Settecento. Il locale, completamente privo di finestre e isolato dall’esterno, è stato definito dai giudici come un ambiente “assolutamente privo di sistemi di aspirazione e filtraggio dell’aria”. In questo spazio angusto e non ventilato, l’uomo ha respirato quotidianamente un cocktail letale di polveri, tra cui legno, vernici, solventi e, in alcuni casi, anche fibre di amianto.

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La diagnosi di leucemia a cellule capellute è arrivata nel 2012, ma il percorso per ottenere giustizia è stato lungo e pieno di ostacoli. La sentenza ha evidenziato “carenze istruttorie e un’inadeguata valutazione scientifica dell’esposizione a sostanze tossiche e cancerogene” da parte dello Stato.

L’Osservatorio Nazionale Amianto (ONA), che ha fornito supporto legale al lavoratore, ha accolto con favore la decisione, definendola “un precedente che non può essere ignorato”. Questa vittoria non solo garantisce un risarcimento morale e materiale al falegname, ma lancia anche un monito severo a tutte le istituzioni pubbliche e private che continuano a ignorare la sicurezza e la salute dei propri dipendenti.

Le ricadute della sentenza: un precedente che apre la strada per altri casi
La sentenza del tribunale segna un punto di svolta cruciale, aprendo la strada a possibili future azioni legali per tutti i lavoratori che, nel passato, hanno operato in condizioni di rischio simili. Il caso del falegname di Palazzo Chigi dimostra come anche in ambienti apparentemente sicuri e istituzionali possano nascondersi pericoli mortali, spesso ignorati per anni.

Questo verdetto sottolinea l’importanza di un’attenta valutazione dei rischi sul posto di lavoro e il dovere, da parte dei datori di lavoro, di garantire ambienti sani e sicuri, proteggendo la vita e la salute dei propri dipendenti. La giustizia, seppur lentamente, ha trionfato, riaffermando il diritto di ogni lavoratore a svolgere le proprie mansioni senza sacrificare la propria incolumità.

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