Il Bandito Giuliano: Tra Mafia e Storia d’Italia

Tomba del bandito Salvatore Giuliano con la bandiera dei separatisti siciliani

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La storia del bandito Salvatore Giuliano si intreccia in modo complesso con eventi che hanno segnato l’Italia, a partire dallo sbarco degli Alleati in Sicilia.

Tra il 9 e il 10 luglio 1943, le truppe americane e britanniche, guidate rispettivamente dal generale Patton e dal generale Montgomery, diedero il via all’Operazione Husky, sbarcando sulle coste meridionali della Sicilia. Questo evento storico, così come la Spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi nel 1860, si realizzò anche grazie a una collaborazione “interessata” con la mafia siciliana. La collaborazione di Garibaldi, in particolare, aveva attirato l’interesse di potenze straniere (rappresentate dalle navi da guerra Argus e Intrepid), interessate in parte alle miniere di zolfo dell’isola, fondamentali per la produzione della polvere da sparo.
“Si vis pacem, para bellum et sulphur” (“Se vuoi la pace, prepara la guerra e lo zolfo”) è un motto che riassume bene l’importanza strategica di questa risorsa.

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Anche lo sbarco degli Alleati non fu un’alleanza formale, ma un’opportunità che la mafia seppe sfruttare per rafforzare il proprio potere. In questo contesto emerse la figura di Lucky Luciano, originario di Lercara Friddi (PA), che orchestrò il supporto logistico dei mafiosi siciliani alle truppe anglo-americane. Per i servizi resi, Luciano fu graziato ed estradato da New York nel 1946. Sbarcato a Napoli, si stabilì a Roma, ma frequentò spesso il Grand Hotel et des Palmes di Palermo, dove ricevette la visita di numerosi esponenti del separatismo siciliano e di boss mafiosi.

Nella primavera del 1945, il latitante “Turiddu” Giuliano si unì alla campagna separatista siciliana. Dopo aver incontrato alcuni leader del Movimento Indipendentista Siciliano e aver ricevuto finanziamenti e armi, Giuliano iniziò una guerriglia contro le forze dell’ordine, compiendo imboscate e assalti. In questo periodo, la propaganda separatista lo dipinse come un moderno Robin Hood, minimizzando i suoi crimini.
Tuttavia, il 1° maggio 1947, la banda di Giuliano compì uno dei crimini più efferati: la strage di Portella della Ginestra. In quel giorno, a Piana degli Albanesi, spararono sulla folla di manifestanti che celebravano la Festa dei Lavoratori e la vittoria del Blocco del Popolo, uccidendo undici persone e ferendone altre ventisette.
In quella montagna vi erano soltanto gli uomini di Giuliano oppure, mischiati tra loro, vi erano anche agenti dei servizi segreti di una potenza d’oltre oceano?

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La figura di Gaspare Pisciotta è centrale nel mistero della morte di Giuliano. Pisciotta, nato a Montelepre, non era cugino di Giuliano come si è spesso creduto, ma un amico d’infanzia. Dopo essere tornato da un campo di prigionia in Germania, si unì alla banda di Giuliano e prese parte alla strage di Portella della Ginestra.

In seguito, Pisciotta divenne un informatore del Comando forze repressione banditismo e ottenne un tesserino che gli permetteva di circolare liberamente nonostante fosse ricercato. L’11 aprile 1951, durante il processo di Viterbo, Pisciotta fece una clamorosa rivelazione: “ho ucciso Giuliano su ordine del Ministro dell’Interno Mario Scelba”, smentendo la versione ufficiale che attribuiva la morte ai carabinieri.

Nel 1970, alcuni superstiti della banda testimoniarono alla Commissione parlamentare antimafia che Pisciotta aveva mentito, probabilmente per depistare le indagini. La verità non emerse mai completamente, poiché il 6 febbraio 1954, Pisciotta fu avvelenato in carcere con 20 mg di stricnina versati nel suo caffè. Solo un mese dopo, un altro membro della banda, Angelo Russo, morì avvelenato con della cicuta nel suo bicchiere di vino. La morte dei due uomini impedì che le loro confessioni complete venissero alla luce.
Chi c’era veramente sulla montagna di Montelepre assieme ai banditi di Turiddu?

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