Liverpool, un arresto per l’uccisione della bimba che ha sconvolto la Gran Bretagna

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C’è un arresto, dopo l’omicidio della bimba di 9 anni uccisa in uno scontro tra gang.

Due o più membri di gang rivali si affrontano nel quartiere di Dovecot, un piccolo quartiere, composto principalmente da case a schiera del XX secolo, di solito di grandi dimensioni, rincorrendosi lungo la strada, come pazzi.

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Sentendo dei rumori all’esterno, una donna, invece di starsene al riparo, per curiosità, apre la porta di casa per vedere cosa succede. Uno dei criminali che è inseguito, (ora si conosce il suo nome, Joseph Nee) intravede una via di scampo, ne approfitta, spalancando la porta, dell’abitazione. Ma i suoi inseguitori gli sono addosso e aprono il fuoco nel vano della porta, ferendo la donna a un polso, la figlia che è dietro di lei, al petto e Nee ad un fianco. Olivia Pratt-Korbel, 9 anni, muore poco dopo. Forse avrebbe potuto essere salvata, ma i compari del delinquente ferito vengono a prelevare lui e lo portano in ospedale, senza curarsi della donna e della figlia.

Ma non è lui l’assassino e si apre una caccia all’uomo che ha ucciso una bambina e scioccato una nazione, che produce un arresto, ma non si tratta del killer.

Dopo che due diverse fonti hanno indicato alla polizia di Liverpool chi potrebbe essere l’assassino, questa mattina l’altro uomo coinvolto nella sparatoria, la vittima, è stato identificato e messo in manette. Si tratta di Joseph Nee, 35 anni, con una sentenza di tre anni e mezzo per furto e altri reati, inclusa la violazione della libertà condizionata, il motivo che l’ha riportato dietro le sbarre. Non è chiaro se a fornire informazioni su colui che ha sparato a lui e alla bambina morta nel tragico fatto di sangue, siano stati membri della criminalità e delle gang a cui le autorità avevano rivolto un appello: “Qualcuno di voi sa chi ha commesso questo orribile omicidio. Fatevi avanti, testimoniate e proteggeremo la vostra identità”.

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La madre della bambina, Cheryl Korbel, è anche lei in ospedale, ma la sua ferita è lieve. L’unica vittima fatale della tragica, assurda sparatoria è Olivia, ricordata dalla maestra e dai compagni di scuola come una bambina dolce, allegra, estroversa. La sua famiglia non aveva alcun legame con nessuna delle due gang che si sono affrontate a colpi di pistola davanti alla porta di casa. L’assassino ha “sparato indiscriminatamente”, afferma la polizia, senza curarsi minimamente di chi avesse di fronte. Il motivo resta da stabilire: un regolamento di conti fra bande, una questione personale, un bottino contestato.

La foto di Olivia sorridente è sulle prime pagine di tutti i giornali d’Inghilterra.

È l’ennesima prova della violenza provocata dalla guerra tra gang, giovanili e non, in questo paese. Una violenza che appena qualche giorno fa ha indotto il campione del mondo dei pesi massimi Tyson Fury, dopo la morte di suo cugino, accoltellato in una rissa in un bar di Manchester, a chiedere pene più severe per gli omicidi all’arma bianca. Ma l’assassino di Liverpool era armato di una rivoltella. E il problema non è eliminare le armi.

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